SCORPION UND FELIX . Humoristischer Roman

Karl Marx . Berlino 1837
arteideologia raccolta supplementi
made n.16 Ottobre 2018
LA RIPRESA DELLE OSTILITÀ
7
pagina
Libro Primo

10

Come promesso nel capitolo precedente, dimostreremo ora che la suddetta somma di venticinque talleri appartiene al buon Dio in persona.
Essi sono senza padrone! Sublime pensiero, nessun potere umano li possiede, eppure il potere maestoso che veleggia sopra Ie nuvole abbraccia ogni cosa, quindi anche i suddetti venticinque talleri; dunque esso lambisce con Ie sue ali - che sono intessute di giorno e notte, di sole e stelle, di immense montagne e infiniti fondali di sabbia, che risuonano come armonie, come lo scroscio della cascata, fin dove la mano del terrestre non giunge piu - anche i suddetti venticinque talleri, e... ma non posso continuare, il mio intimo e agitato, getto uno sguardo su ogni cosa e in me stesso e sui suddetti venticinque talleri, quale spunto di riflessione in queste tre parole, il loro punto d'osservazione e l'infinito, risuonano come note angeliche, ricordano il giudizio finale e il fisco, poiché...
era Greta, la cuoca, colei che Scorpione, eccitato dai racconti del suo amico Felice, rapito dalla sua fiammeggiante melodia, sopraffatto dal suo fresco sentimento giovanile, strinse al suo cuore, intravedendo in lei una fata.
Ne concludo che Ie fate portano la barba, poiché Maddalena Greta, non la Maddalena penitente, simile a un guerriero molto onorato, sfoggiava gote e baffi, i morbidi riccioli si stringevano crespi attorno al mento ben scolpito il quale, simile a una roccia sul mare solitario che gli uomini scorgono ma da lontano, gigantesco e orgogliosamente consapevole della sua natura sublime, sporgeva dalla piatta zuppiera del viso, fendendo l'aria, commuovendo gli dei, sconvolgendo gli uomini.
Pareva che la dea della fantasia avesse sognato una bellezza barbuta e che si fosse persa nelle magiche contrade del suo volto ciarliero e, quando si destò, fu Greta stessa ad aver sognato, e una cosa terribile: che lei era la grande meretrice di Babilonia [1], l'apocalisse di Giovanni e l'ira di Dio, che aveva fatto spuntare un campo di stoppie puntute sulla pelle solcata da lievi linee ondulate, affinché la sua bellezza non istigasse al peccato e la sua virtù fosse protetta, come la rosa dalle spine, affinché il mondo
comprendesse
e per lei non si accendesse.

12

«Un cavallo, un cavallo, un regno per un cavallo» disse Riccardo III.[2]
«Un uomo, un uomo, me stessa per un uomo» disse Greta. 

16 

« In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo e il Verbo si fece carne e abitò fra di noi, e noi vedemmo la Sua gloria.»[3]
Bel pensiero innocente! Eppure Ie associazioni di idee condussero Greta più lontano, ella credette che il Verbo dimorasse tra Ie cosce; come Tersite in Shakespeare, secondo cui Aiace aveva Ie viscere nella testa e il cervello nel ventre [4], lei, Greta, e non Aiace, se ne convinse e comprese il modo in cui il Verbo si era fatto carne, situò tra Ie cosce la sua espressione simbolica, vide la loro gloria e decise...
di lavarle.

19 

Ma lei aveva grandi occhi azzurri, e gli occhi azzurri sono banali come l'acqua della Sprea.
Emana da loro una stupida e nostalgica innocenza che compatisce se stessa, un'innocenza slavata; quando il fuoco Ie si avvcina essa si scioglie in vapore grigio, e non resta nient'altro dietro questi occhi, tutto il loro mondo è azzurro, la loro anima tinge d'azzurro ogni cosa, invece gli occhi castani, essi sono un regno ideale, in essi riposa un mondo notturno infinito e splendente, da essi divampano in alto lampi dell’anima, e i loro sguardi risuonano come Ie canzoni di Mignon [5], come un lontano e delicato paese al glutine, in cui abita un dio ricco che si bea della sua stessa profondità e, immerso nel tutto della sua esistenza, irradia d'infinito e patisce di esso.
Ci sentiamo come avvinti da un incantesimo, vorremmo stringere al petto l’essenza melodiosa, profonda e piena di sentimento e suggere dai suoi occhi lo spirito e trasformare i suoi sguardi in canzoni.
Amiamo il mondo rigoglioso e movimentato che ci si schiude, vediamo sullo sfondo pensieri di sole incredibilmente alti, intravediamo una sofferenza demonica, mentre figure dai movimenti leggeri — che guidano dinanzi a noi la colonna danzante — ci fanno cenno e, non appena vengono riconosciute, indietreggiano timide, come la Grazia.

21
Lambiccamenti filologici 

Di certo Felice non si staccò dolcemente dagli abbracci del suo amico, poiché non coglieva la sua natura profonda e sentimentale e, in quel momento, era impegnato nella prosecuzione... delta sua digestione, alla cui grandiosa attività imponiamo ora, una volta per tutte, di porre fine, dato che ci impedisce di proseguire.
Così pensava anche Merten, poiché il colpo violento che travolse Felice era stato inferto dalla sua grande e storica mano.
II nome Merten ricorda Carlo Martello, e Felice credette di essere stato davvero accarezzato da un martello, perché la scossa elettrica che sentì era legata a tale gradevole sensazione. Spalancò gli occhi, barcollò e pensò ai suoi peccati e al giudizio finale.
Io invece mi lambiccavo sulla materia elettrica, sul galvanismo, sulle dotte lettere di Franklin alla sua geometrica amica e su Merten, poiché la mia curiosità è tesa oltremodo a scoprire cosa può nascondere questo nome.
Che il nome stesso derivi in linea diretta da Martello, non è da dubitare: il sacrestano me lo assicurò, benché a quel periodo manchi ogni armonia.
La l si trasformò in una n, e poiché, come sa ogni cultore di storia, Martello è un inglese — mentre in inglese la a suona spesso come il tedesco eh, che in Merten coincide con e allora Merten potrebbe essere davvero un'altra forma di Martel (Martello).
In conclusione, poiché tra gli antichi tedeschi il nome — come risulta da parecchi epiteti quali Krug, il Cavaliere; Raupach, il Consigliere di Corte; Hegel, il Nano — esprime il carattere del suo portatore, Merten sembra essere un uomo ricco e onesto, benché egli sia di professione un sarto e in questa storia sia il padre di Scorpione.
Quest'ultima cosa giustifica una nuova ipotesi: poiché in parte è sarto e in parte suo figlio si chiama Scorpione, e molto probabile che discenda da Mars, il dio della guerra, genitivo Martis, accusative greco Martin, Mertin, Merten, dacché l’arte del dio della guerra è tagliare, in quanto taglia via braccia e gambe e fa a pezzi la felicità terrena.
Inoltre lo scorpione è un animale velenoso, che uccide con lo sguardo e Ie cui ferite sono letali, il cui lampo d'occhi annienta — una bella allegoria dunque per la guerra, il cui sguardo uccide, Ie cui conseguenze imprimono a chi ne è colpito cicatrici che sanguinano interiormente e che non si rimargineranno più.
Poiché invece Merten possedeva una natura meno pagana, anzi era di indole molto cristiana, sembra ancora più probabile che discenda da San Martin, un piccolo scambio di vocali dà Mirtan — la i suona spesso nel linguaggio popolare come e, ad esempio gib mer anziché gib mir [6] e la a in inglese, come già indicate, suona spesso come eh che, nel corso del tempo, si trasforma facilmente in e, soprattutto in una cultura che evolve; sicché il nome Merten nasce in modo del tutto naturale e significa "sarto cristiano".
Benché questa derivazione sia assolutamente probabile e profondamente fondata, tuttavia non possiamo far a meno di proporne ancora un'altra, che riduce molto la nostra fede in San Martin, il quale potrebbe semmai valere solo come patrono protettore, giacché, per quanto ne sappiamo, non è mai stato coniugato, e dunque non poteva neppure avere un successore maschio.
Tale dubbio sembra accresciuto da quanto segue.
L'intera famiglia Merten condivideva con il Vicario di Wakefield [7] la caratteristica di sposarsi appena possibile, e quindi brillava prima del tempo, di generazione in generazione, nella corona di Myrthe [8], il che, senza far appello ai miracoli, già basta a spiegare che Merten sia nato e figuri in questa storia come padre di Scorpione.
Myrthen dovrebbe perdere la h, poiché con il matrimonio spunta fuori la eh [9], quindi la he cade, per cui Myrthen divenne Myrten.
La y e una v greca, e non una lettera tedesca. Poiché ora, come dimostrato, la famiglia Merten era una stirpe autenticamente tedesca e al tempo stesso una famiglia di sarti molto cristiana, allora la pagana y straniera dovette trasformarsi in una i  tedesca e, posto che in quella famiglia il matrimonio [10] è l'elemento dominante — ma la i è una vocale stridula e dura, benché i matrimoni dei Merten fossero molto dolci e miti — allora fu trasformata in una eh e più tardi, affinché non ci si accorgesse dell'audace cambiamento, in una e la cui brevità reca anche traccia della risolutezza nel contrarre i matrimoni — sicché Myrthen raggiunge l’apice del suo compimento nel tedesco e polisemico Merten.
Dopo questa deduzione avremmo collegato il sarto cristiano di San Martin, il solido coraggio di Martello, la rapida risoluzione del dio della guerra Marte con l’abbondanza di matrimoni, che risuona dalle due e di Merten, ipotesi, questa, che riunisce in sé e al tempo stesso invalida tutte quelle proposte sinora.
Di diversa opinione è lo scoliasta che, con grande zelo e con sforzo incessante, ha messo per iscritto i commenti al vecchio storico, da cui proviene la nostra storia.
Benché noi non possiamo abbracciare la sua opinione, tuttavia essa merita un apprezzamento critico, giacché è scaturita dallo spirito di un uomo che univa a una straordinaria erudizione una grande capacità di fumare — per cui Ie sue pergamene erano avvolte dalla sacra esalazione del tabacco ed erano quindi state riempite di oracoli in un sibillino entusiasmo d'incenso.
Egli crede che Merten debba derivare dal tedesco Mehren (aumentare) e da Meer (mare), perché i matrimoni dei Merten sono gemehrt (aumentati), come la sabbia del Meer (mare), perché inoltre nel concetto di sarto è nascosto il concetto di Mehrer (colui che aumenta), in quanto fa di una scimmia un uomo. Su queste ricerche scrupolose e malinconiche egli ha costruito la sua ipotesi.
Quando Ie lessi, mi afferrò come un vertiginoso stupore, l’oracolo del tabacco mi rapì, ma presto si destò la ragione che discerne freddamente e che oppose Ie obiezioni che seguono.
Posso concedere semmai al suddetto scoliasta che nel concetto di sarto vi sia il concetto di Mehrer,  ma non deve esservi incluso in alcun modo il concetto di Minderer (colui che diminuisce), poiché questo comporterebbe una contradictio in terminis, per Ie signore, vale a dire: il buon Dio nel diavolo, un motto di spirito in un salotto da tè, e loro stesse come filosofe. Se però Mehrer fosse diventato Merten, la parola sarebbe evidentemente diminuita di una h, quindi non sarebbe aumentata, il che è stato dimostrato come sostanzialmente contraddittorio alla sua natura formale.
Dunque Merten non puo derivare in alcun modo da Mehren, e a confutare che scaturisca da Meer sta il fatto che Ie famiglie Merten non sono mai cadute in acqua, e neppure sono mai state infuriate dalla tarantola, bensì sono state una devota famiglia di sarti, il che contraddice il concetto di un mare fortemente impetuoso — dall'insieme di questi motivi discende che, nonostante la sua infallibilità, il suddetto Autore ha sbagliato e che la nostra deduzione è l'unica giusta.
Dopo questa vittoria sono troppo affaticato per proseguire oltre e voglio bearmi della felicita di esser soddisfatto di me, poiché un solo istante di felicità, come afFerma Winkelmann, vale più di tutte Ie lodi della posterità, benché di questo io sia convinto quanto Plinio il Giovane.

22 

Quocumque adspicias, nihil est nisi pontus et aer,
fluctibus hie tumidis, nubibus ille minax,
inter utrumque fremunt immani turbine venti:
nescit cui domino pareat, unda maris.
Rector in incerto est: nec quid fitgiatve petatve
invenit: ambiguis ars stupet ipsa mails.[11] 

« Ovunque tu guardi, vedi soltanto Scorpione e Merten, quello gonfio di lacrime, questo obnubilato dall'ira ».
« Fra i due riecheggia un profluvio di parole infinitamente fragoroso, non sa a quale signore dìa ascolto, il mare fluttuante ».
« Io, il rettore, barcollo, e quel che lascio, quel che scrivo, non trovo, davanti allo scandalo l'arte, negli angoli, striscia ».

Così Ovidio, net suoi Libri tristium, racconta la mesta storia che segue, come d'altronde farà la successiva, quella precedente. Si vede che egli non sapeva più che fare, ma io racconto come segue: ... 

23

Ovidio sedeva a Tomi, scaraventato lì dall’ira del dio Augusto poiché possedeva più genio che intelletto.
Qui, tra i barbari selvaggi, il delicato poeta dell’amore avvizziva e l’amore stesso lo aveva fatto precipitare.
II  suo capo pensoso reclinava sulla destra, mentre sguardi nostalgici vagavano verso il lontano Lazio.
II cuore del cantore era spezzato, eppure doveva ancora sperare, eppure la sua cetra non poteva tacere, e finiva di ardere la sua nostalgia e il suo dolore in canti melodiosi e dolcemente eloquenti.
II vento del nord sibilava tra Ie membra del fragile vecchio, riempiendolo di fremiti sconosciuti, poiché era fiorito nel caldo paese del sud; laggiù la sua fantasia aveva adornato con vesti sontuose i suoi giochi caldi e rigogliosi e, quando questi figli del genio erano troppo liberi, la Grazia mise sulle loro spalle una corona di veli divini che li avvolgeva lievemente, sicché Ie pieghe aleggiavano tutt'intorno e piovevano calde gocce di rugiada.
« Presto cenere, povero poeta! ».
E una lacrima scorreva lungo la guancia del vegliardo, quando... si percepì la potente voce da basso di Merten, profondamente scossa, contro Scorpione... 

27

« Ignoranza, sconfinata ignoranza ».
« Poiché (si riferisce a un capitolo precedente) Ie sue ginocchia si piegavano troppo da una certa parte! ».
Tuttavia manca la definizione, la definizione.
Chi potrà definirla, chi potrà esaminare quale sia la parte destra e quale la sinistra?
E tu dimmi, mortale, da dove viene il vento, oppure se sul volto di Dio c'è un naso, e io ti dirò che cos'è destra e che cos'è sinistra.
Null’altro che concetti relativi, è come bersi la follia, la furiosa pazzia, insieme alla saggezza!
Oh! Vano è ogni nostro sforzo, illusione è la nostra nostalgia, fino a che non avremo penetrato che cos'è destra e che cos'è sinistra, giacché a sinistra metterà i capri, a destra invece gli agnelli.
Se si gira, se prende un'altra direzione, poiché di notte ha fatto un sogno, allora i capri staranno a destra e i devoti a sinistra, secondo Ie nostre misere vedute.
Perciò definiscimi che cos'è destra e che cos'è sinistra, e l'intero nodo della creazione sarà sciolto, Acheronta movevo [12], dedurrò con precisione dove andrà a stare la tua anima, da questo concluderò inoltre su quale livello tu sei ora, poiché quel rapporto originario apparirebbe misurabile, in quanto la tua posizione sarebbe determinata dal Signore, ma il tuo posto quaggiù può essere misurato secondo lo spessore del tuo capo, mi gira la testa, se comparisse un Mefistofele, diventerei Faust, poiché è chiaro che tutti noi, tutti siamo un Faust, in quanto non sappiamo quale parte sia la destra, quale la sinistra, la nostra vita è perciò un circo, corriamo tutt'intorno, cerchiamo da tutte Ie parti, finché cadiamo sulla sabbia e il gladiatore, la vita appunto, ci uccide, dobbiamo avere un nuovo redentore, poiché — tormentoso pensiero, tu mi rubi il sonno, mi rubi la salute, tu mi uccidi — non possiamo distinguere la parte sinistra dalla destra, non sappiamo dove si trovano... 

28

« Evidentemente sulla luna, sulla luna ci sono Ie pietre lunari, nel petto delle donne la falsità, nel mare sabbia e sulla terra montagne! » replicò l'uomo che bussò alla mia porta senza aspettare che io gli dicessi di entrare.
Misi rapidamente da parte Ie mie carte, gli dissi che ero molto lieto di non averlo conosciuto prima, perché così molto più grande sarebbe stato il piacere di conoscerlo, che egli insegnava grande sapienza, che tutti i miei dubbi erano chiariti da lui, solo che, per quanto anch'io parlassi velocemente, egli parlava ancora più velocemente, suoni sibilanti si spingevano avanti tra i suoi denti, l'uomo sembrava, come osservai rabbrividendo a un esame più ravvicinato, una lucertola disseccata, nient'altro che una lucertola, strisciata fuori da un rudere imputridito.
Era di una grandezza ridotta, e la sua statura aveva molta somiglianza con quella della mia stufa. I suoi occhi potevano essere definiti più verdi che rossi e più spilli che lampi, ma lui stesso poteva essere definito più un folletto che un uomo.
Un genio!
Lo riconobbi rapidamente e con sicurezza, poiché il suo naso era saltato fuori dalla sua testa come Pallade Atena dalla testa del padre di tutti, Zeus, per cui mi spiegavo anche la sua tenue fiamma scarlatta che indicava la sua origine eterea, mentre la testa stessa poteva essere definita calva, a meno che non si voglia chiamare copricapo la spessa crosta di brillantina che insieme ad altri prodotti — aerei e primordiali — cresceva rigogliosamente su quella montagna primitiva.
Tutto in lui faceva pensare ad altezza e profondità, ma la formazione del suo volto sembrava tradire un burocrate, poiché Ie guance erano come zuppiere incavate e lisce, talmente protette dalla pioggia, grazie alle ossa eccessivamente sporgenti, da poterci infilare carte e decreti governativi.
In breve, tutto ciò mostra che egli sarebbe stato il dio dell'amore in persona, se non fosse stato così somigliante a sé stesso, e che il suo nome avrebbe avuto un suono leggiadro come l'amore, se non avesse ricordato invece un arbusto di ginepro.
Lo pregai di calmarsi, poiché sosteneva di essere un eroe, cosa a cui obiettai semplicemente che gli eroi erano fatti un po' meglio, mentre invece gli araldi avrebbero avuto una voce più semplice, meno complessa e piu armoniosa, e infine, che Ero era una bellezza trasfigurata [13], una natura veramente bella, in cui forma e anima lottavano per aggiudicarsi, sole, la perfezione, e che quindi non era adatta al suo amore.
Egli però obiettò
ch-ch-che l-l-lui possedeva un'ossatura forte,
che aveva un'o-o-ombra buona e anche migliore di tanti altri uomini, dal momento che proiettava più o-o-ombra che luce,
ch-ch-che quindi la sua consorte poteva rinfrescarsi alla sua ombra, crescere e divenire lei stessa un'o-o-ombra,
che io ero un uomo r-r-rude e contempora-neamente un genio da quattro soldi, oppure un babbeo,
ch-ch-che lui si chamava Engelbert e che quel no-nome suonava me-me-meglio di Sc-sc-scorpione,
ch-ch-che io mi ero sbagliato nel capitolo dician-novesimo, dato che gli occhi azzurri sono piu be-be-belli di quelli castani, che gli occhi da colomba sono i piu arguti
e che lui stesso, anche se non era una colomba, era però, quantomeno, un sordo [14] per quel che riguarda la ragione,
e disse inoltre che amava il maggiorascato e possedeva una lisciviatrice.
« Lei deve essere unita a me in matrimonio s-s-s-stando alia m-m-mia d-d-destra, e tu s-s-smettila con Ie tue ricerche su destra e sinistra, lei abita di fronte, né a destra né a sinistra».

La porta fu chiusa, un'apparizione celeste uscì dalla mia anima, il dialogo dal suono leggiadro era terminato ma, come voci di spiriti, si sentì mormorare attraverso il buco della serratura:
« Klingholz, Klingholz ! ».

29

Me ne stavo seduto pensieroso, misi da parte Locke, Fichte e Kant e mi dedicai a una profonda ricerca per scoprire in che modo una lisciviatrice può essere connessa al maggiorascato, quando mi trapassò un lampo che, affastellando pensieri su pensieri, illuminò il mio sguardo e apparve davanti ai miei occhi una configurazione luminosa.
II maggiorascato è la lisciviatrice dell’aristocrazia, poiché una lisciviatrice serve solo per lavare.
Ma il lavaggio sbianca, dando così una pallida lucentezza al bucato. Allo stesso modo il maggiorascato inargenta il figlio primogenito della casa, dandogli così un pallido color argento, mentre agli altri membri imprime il pallido colore romantico della miseria.
Chi fa il bagno nei fiumi, si getta contro l’elemento scrosciante, combatte la sua furia e lotta con braccia vigorose; ma chi siede nella lisciviatrice vi rimane chiuso e contempla gli angoli delle pareti.
L'uomo comune, vale a dire colui che non ha la magnificenza del maggiorascato, combatte contro la vita impetuosa, si tuffa nel mare rigonfio, e per diritto prometeico ruba perle alle sue profondità; magnificamente gli compare davanti agli occhi l'interna configurazione dell’idea, e audacemente crea, ma il signore del maggiorascato fa soltanto cadere Ie gocce su di se, teme di slogarsi Ie membra e perciò si siede in una lisciviatrice.
Trovata la pietra filosofale, trovata!

30 

Perciò, come risulta dalle due ricerche appena fatte, non si puòo comporre un'epopea ai nostri giorni.
Per prima cosa, infatti, facciamo approfondite considerazioni sulla parte destra e sulla parte sinistra, dunque togliamo a queste espressioni poetiche la loro veste poetica, come Apollo tolse la pelle a Marsia, e ne facciamo una figura del dubbio, un babbuino informe, che ha occhi per non vedere ed e un Argo alla rovescia; questi aveva cento occhi per scoprire quel che era perduto; quello, il bisbetico utopista, il dubbio, possiede cento occhi per rendere non visto quel che e stato visto.
Ma la parte, il luogo, è un contrassegno fondamentale della poesia epica, e appena non ci sono più parti, come è dimostrato che succede da noi, essa potrà sollevarsi dal suo sopore mortale solo quando il suono delle trombe desterà Gerico [15].
Inoltre abbiamo trovato la pietra filosofale e, da noi, tutti indicano la pietra e loro... 

31 

Giacevano sul pavimento, Scorpione e Merten, poiché l’apparizione soprannaturale (si riferisce a un capitolo precedente) aveva talmente scosso i loro nervi che la forza di coesione delle loro membra, nel caos dell’espansione — che, come l’embrione, non si è ancora staccata dalle relazioni universali per acquisire una forma particolare — fu dissolta, sicché il loro naso scese fino all'ombelico e il loro capo sprofondò a terra.
Merten sanguinò sangue denso, in esso era contenuta molta materia ferrosa, quanta non so precisarlo, poiché nel complesso la chimica non è ancora a un buon livello.
Soprattutto la chimica organica diventa ogni giorno più complessa per semplificazione, dal momento che ogni giorno vengono scoperte nuove sostanze elementari, che hanno in comune con i vescovi il fatto di portare nomi di paesi che appartengono ai miscredenti e che si trovano in partibus infedelium, nomi che sono inoltre lunghi come il titolo di un membro di molte società scientifiche e dei principi imperiali tedeschi, nomi che rappresentano tra i nomi i liberi pensatori, perché non si legano ad alcuna lingua.
In generale la chimica organica è un'eretica, voler spiegare la vita attraverso un processo morto! Un peccato contro la vita, come se volessi desumere l'amore dall’algebra.
II tutto riposa evidentemente sulla dottrina del processo, che non è ancora elaborata come dovrebbe, e che mai potrà esserlo poiché si basa sul gioco delle carte, un gioco di puro caso, in cui l'asso è protagonista.
Ma l'asso ha fondato l'intera giurisprudenza moderna: infatti una sera Irnerio aveva perso la sua partita, veniva proprio da una riunione di signore ed era vestito con eleganza, portava un frac blu, scarpe nuove con lunghe fibbie e un panciotto di seta rosso carminio, e allora si sedette e scrisse una dissertatio sull’asse [16], cosa che poi lo spinse oltre, al punto da cominciare a insegnare diritto romano.
II diritto romano però include tutto, anche la dottrina del processo, anche la chimica, poiché è il microcosmo che si e staccato dal macrocosmo, come ha dimostrato Pacius.
I quattro libri delle Istituzioni sono i quattro elementi, i sette libri delle Pandette i sette pianeti e i dodici libri del Codice i dodici segni dello zodiaco [17].
Ma nessuno spirito è penetrato nel tutto, fu invece Greta, la cuoca, a chiamare per la cena.
Scorpione e Merren, molto agitata, avevano tenuto gli occhi chiusi e così scambiarono Greta per una fata. Quando si furono ripresi dal loro spavento spagnolo, risalente all'ultima sconfitta e alla vittoria di Don Carlos [18], Merten si appoggiò su Scorpione e si innalzò come una quercia, poiché Ovidio e Mosè dicono che l'uomo deve guardare Ie stelle e non volgersi alla terra, ma Scorpione afferrò la mano di suo padre e diede al suo corpo una posizione pericolosa, ponendolo su due piedi. 

35 

« Per Dio! II sarto Merten è un buon assistente, ma si fa anche pagare caro! ». - « Vere! Beatus Martinus bonus est in auxilio, sed carus in negotio! » [19] gridò Clodoveo dopo la battaglia di Poitiers, quando gli ecclesiastici a Tours gli spiegarono che Merten aveva tagliato a dovere i suoi calzoni alla cavallerizza, con i quali cavalcò il coraggioso ronzino che gli fece conquistare la vittoria, e inoltre gridò quando essi pretesero duecento fiorini d'oro per questo servizio di Merten.
Ma il tutto accadde così - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

36 

Stavano seduti al tavolo, Merten a capotavola, alla sua destra Scorpione, alla sua sinistra Felice, il primo lavorante; molto più in basso — con un certo vuoto tra il principe e la plebe — stavano i membri subordinati del corpo statale di Merten, di solito chiamati garzoni.
II vuoto, in cui nessun essere umano poteva stare, non era occupato dallo spirito di Banco [20], ma dal cane di Merten, che ogni giorno doveva recitare la preghiera prima del pasto, poiché Merten, che coltivava studi umanistici, affermava che il suo Bonifacio — così si chiamava il cane — era tutt'uno con San Bonifacio, l’Apostolo dei tedeschi, riferendosi a un passo in cui questi annuncia di essere un cane che abbaia. (Si veda l'epistola 105, p. 145, Ed. Seraria [21]). Egli teneva perciò con venerazione superstiziosa a questo cane, il cui posto era di gran lunga il più elegante, una coperta delicata rosso carminio del cachemire più fine, imbottita come un sontuoso divano, sostenuta da molle artisticamente intrecciate tra loro, tale era la sedia del suo Bonifacio, nappe di seta penzolavano e, non appena la seduta fu tolta, essa fu portata nel luogo solitario di una alcova isolata, che sembra essere la stessa che descrive Boileau nel suo lutrin [22] come tempio di riposo del prevosto.
Bonifacio non era al suo posto, il buco era aperto, e Ie guance di Merten impallidirono. «.Dov'e Bonifacio? » gridò con il cuore profondamente oppresso, e l'intero tavolo si mise visibilmente a muoversi. « Dov'e Bonifacio? » domandò Merten ancora una volta. E come trasalì spaventato, come tremarono tutte Ie membra del suo corpo, come si rizzarono i suoi capelli, quando udì che Bonifacio era assente!
Tutti balzarono su a cercarlo, lui stesso sembrò aver completamente perduto la sua solita calma, suonò, Greta entrò, il cuore di lei aveva un brutto presentimento, ella credeva...
« Ehi, Greta, dov'e Bonifacio? ». Ed ella si calmò visibilmente, ed egli inciampò con Ie braccia sulla luce, così che un'oscurità originaria avvolse tutti e sopraggiunse una notte gravida di sventure e piena di burrasche. 

37 

David Hume affermava che questo capitolo è il locus communis del precedence e lo affermava prima ancora che io lo avessi scritto. La sua dimostrazione era la seguente: se questo capitolo è, il precedente non è, bensì questo ha scalzato il precedente, da cui è venuto fuori, certo non come causa ed effetto, poiché di essi dubitava. Ogni gigante, però, e dunque anche ogni capitolo di venti righe, lascia dietro di sé un nano, ogni genio un coriaceo filisteo, ogni tumulto dei mari una scia di fango e, appena i primi scompaiono, cominciano gli altri, prendono posto a tavola e stendono con violenza Ie loro lunghe gambe.
I primi so no troppo grandi per questo mondo, perciò vengono buttati fuori. Gli altri, invece, vi mettono radici e rimangono, come si può evincere dai fatti, poiché lo champagne lascia un sapore durevole e ripugnante, così come l'eroe Cesare l’attore Ottaviano, l'imperatore Napoleone il re borghese Luigi Filippo, il filosofo Kant il cavaliere Krug, il poeta Schiller il consigliere di corte Raupach, il celestiale Leibniz il maestrucolo Wolff, il cane Bonifacio questo capitolo.
Così Ie basi si depositano come sedimenti, mentre lo spirito svanisce. 

38 

L’ ultima proposizione sulle basi era un concetto astratto, dunque non una donna, poiché un concetto astratto e una donna: quanto sono diversi ! esclama Adelung. Ma io affermo il contrario e lo dimostrerò accuratamente, però non in questo capitolo, bensì in un libro, che non sarà composto da capitoli, e che io penso di scrivere non appena mi sarò convinto della Santissima Trinità. 

39 

A chi desidera acquisire un concetto perspicuo e non astratto della stessa — non intendo la greca Elena, e neppure la romana Lucrezia, bensì la Saniissima Trinità — non posso consigliar di meglio che non sognare Nulla, fino a che non si sia addormentato, ma al contrario, di vegliare nel Signore e di esaminare questa proposizione, poiché in essa risiede il concetto perspicuo. Se ci innalziamo alla sua altezza, distante cinque gradini dal nostro punto di osservazione attuale, adagiato in alto come una nuvola, ci verrà incontro il gigantesco «Non »; se ci lasciamo cadere nel suo mezzo, ci spaventeremo per l'imponente «Nulla»; e se ci caliamo nella sua profondità, entrambi si riconcilieranno in armonia nel «Non» che ci salta addosso con caratteri di fuoco, audaci ed eretti.
«Non» - «Nulla» - «non»
questo è il concetto perspicuo della Trinità, ma quello astratto, chi potrebbe esaminarlo a fondo? Infatti:
« Chi va su fino al cielo e poi ne scende? ». « Chi tiene il vento nelle sue mani?.». « Chi restringe Ie acque nel suo vestito? ». « Chi ha indicato gli estremi confini del mondo? ».
« Come si chiama lui? E come si chiama suo figlio? Tu lo sai? » disse Salomone il Saggio [23]. 

40 

« Non so dove egli sia, ma questo è certo, è un teschio, un teschio! » grido Merten. Si chinò ansiosamente nell'oscurità per riconoscere di chi fosse la testa che sfiorava con la mano, quando si ritrasse come annichilito, poiché gli occhi... 

41 

Sissignore ! Gli occhi !
Essi sono un magnete e attirano ferro, per cui poi ci sentiamo attratti anche dalle signore, ma non dal cielo, poiché Ie signore vedono da due occhi, il cielo solo da uno. 

42 

« Le dimostro il contrario ! » mi disse una voce invisibile, e quando volsi lo sguardo verso la voce, scorsi — non ci crederete, ma lo assicuro, giuro, è così — scorsi — ma non vi arrabbiate, non vi spaventate, poiché non riguarda né la vostra sposa né la vostra digestione — scorsi me stesso, poiché io stesso mi ero offerto per la controprova.
« Ah ! Io sono un sosia ! » mi attraversò questa idea e Gli elisir del diavolo di Hoffmann...[24]. 

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... Giacevano davanti a me sul tavolo, proprio quando io mi lambiccavo il cervello sul perché l’ebreo errante sia un berlinese di nascita e non uno spagnolo; ma vedo che questo coincide con la controprova che devo fornire, per cui noi, per amor di precisione... non vogliamo fare nessuna delle due cose, ma ci accontentiamo dell’osservazione che il cielo sia negli occhi delle signore, ma che gli occhi delle signore non si trovano in cielo, da cui risulta che ad attrarci non siano tanto gli occhi quanto piuttosto il cielo, poiché non vediamo gli occhi, ma soltanto il cielo che è in essi. Se ci attraessero gli occhi e non il cielo, allora ci sentiremmo attirati dal cielo e non dalle signore, poiché il cielo non ha un occhio solo, come è stato osservato sopra, bensì non ne ha nessuno, esso infatti è null’altro che un infinito sguardo d'amore della divinità, l’occhio mite e melodioso dello spirito di luce, e un occhio non può avere un occhio.
II risultato conclusivo della nostra ricerca, perciò, è che noi ci sentiamo attirati dalle signore e non dal cielo, perché non vediamo gli occhi delle signore, ma senz'altro il cielo che è in essi, sicché ci sentiamo, per così dire, attratti dagli occhi perché non sono occhi, e perché Aasvero [25], l'errante, è berlinese di nascita, poiché è anziano e malaticcio e ha visto molti paesi e molti occhi, ma continua pur sempre a sentirsi attirato non dal cielo, bensì dalle signore, ed esistono soltanto due magneti, un cielo senza occhio e un occhio senza cielo.
L'uno sta sopra di noi e ci attira verso l'alto, l’altro sotto di noi e ci attira nelle profondità. Ma l'Aasvero è attratto con forza verso il basso, altrimenti fluttuerebbe eternamente sulla terra? E fluttuerebbe eternamente sulla terra, se non fosse un berlinese di nascita e se non fosse abituato alle distese di sabbia? 

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Secondo frammento o del portafoglio di Halto

Giungemmo a una casa di campagna, era una bella notte, blu scura. Tu eri appesa al mio braccio e volevi staccarti, ma io non ti lasciavo, la mia mano ti legava, come tu avevi legato il mio cuore, e tu lasciasti che io ti tenessi.
Io mormorai parole piene di nostalgia e dissi la cosa più alta e bella che un mortale possa dire, poiché non dissi nulla, ero sprofondato intimamente in me, vidi sorgere un regno, il cui etere fluttuava così leggero, eppure così pesante, e nell’etere c'era un'immagine divina, la bellezza stessa, come io un tempo l'avevo presagita — ma non riconosciuta — in audaci sogni fantasiosi, sfavillava lampi di spirito, sorrideva, e tu eri l'immagine.
Mi meravigliai di me stesso, poiché ero diventato grande attraverso il mio amore, imponente; vidi un mare infinito, in cui non mugghiavano più flutti, aveva guadagnato profondità ed eternità, la sua superficie era cristallo, e nel suo oscuro abisso erano appuntate tremule stelle dorate, che cantavano canzoni d'amore, che irradiavano ardore, e il mare stesso era caldo !
Se quella strada fosse stata la vita !
Baciai la tua dolce, morbida mano, parlai d'amore e di te.
Una nebbia leggera fluttuava sul nostro capo, il suo cuore andò in frantumi, pianse una grande lacrima, essa cadde fra noi, ma noi la sentimmo e tacemmo. 

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« O è Bonifacio oppure Ie mie brache ! » grido Merten. « Luce, dico! Luce ! ». E luce fu. « Per Dio, non sono Ie brache, ma è Bonifacio, adagiato qui, nell'angolo buio, e i suoi occhi ardono in un fuoco cupo, ma... cosa devo vedere? ». « Sanguina ! ». E muto stramazzo a terra. I garzoni osservarono prima il cane e poi il loro padrone. Infine questi si staccò a forza dal suolo. « Cosa fissate, asini? Non vedete che San Bonifacio è ferito? Farò delle indagini accurate. E guai, tre volte guai, al colpevole ! Ebbene, veloci, portatelo sulla sua sedia, chiamate il medico di famiglia, portate aceto e acqua tiepida, e non dimenticate di chiamare il maestro Vitus ! La sua parola può molto su Bonifacio! ».
Così, rapidi e concisi, si susseguivano i comandi. Si precipitavano fuori dalla porta, in ogni direzione. Merten osservò più attentamente Bonifacio, il cui occhio non accennava ad assumere una lucentezza più mite, e ansioso scosse il capo.
« Incombe su di noi una sciagura, una grande sciagura! Chiamate un prete!». 

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Merten sobbalzò più volte disperando, dal momento che non compariva ancora nessuno dei soccorritori.
« Povero Bonifacio! Ma che accadrebbe se io stesso nel frattempo osassi intraprendere la cura? Tu sei tutto accaldato, il sangue scorre dalla tua bocca, non vuoi mangiare, vedo prodursi nel tuo basso ventre sforzi violenti, ti comprendo, Bonifacio, ti comprendo! ». E Greta entrò con acqua tiepida e aceto.
« Greta! Da quanti giorni Bonifacio non evacua? Non ti ho prescritto di fargli una purga almeno una volta la settimana? Ma vedo che d'ora innanzi dovrò occuparmi io stesso di affari di tale importanza! Porta olio, sale, crusca, miele e un clistere! ».
« Povero Bonifacio! I tuoi santi pensieri e Ie tue considerazioni ti ostruiscono, da quando non puoi piu esternarli con discorsi e scritture!».
« 0 tu, ammirevole vittima della profondità delle idee, o tu, pia ostruzione ! ».

FINE

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[1] . Il riferimento è all’Apocalisse di Giovanni, XVII, 1-3.
[2] . Citazione tratta dal Riccardo III di William Shakespeare, atto V, scena IV.
[3] . Riferimento al Vangelo di Giovanni, I, 1 e 14.
[4] . Si riferisce alla tragedia in cinque atti Troilo e Cressida di William Shakespeare, atto II, scena I.
[5] . Mignon è uno dei personaggi femminili del romanzo Wilhelm Meister: gli anni dell’apprendistato di Johann Wolfgang Goethe, dove ella recita alcune canzoni, i Lieder der Mignon appunto, i cui versi sono stati trasposti in musica da moltissimi compositori celebri, dal XVIII secolo in poi.
[6] . Gib mir significa “dammi”
[7] . Allusione al romanzo Il vicario di Wakefield (1766) dello scrittore irlandese Oliver Goldsmith, uno dei libri più amati nel XVIII e XIX secolo, citato da tantissimi grandi autori quali ad esempio Jane Austen, Goethe, Charles Dickens.
[8] . “Mirto”.
[9] . La parola tedesca Ehe significa “matrimonio”.
[10] . Di nuovo Ehe.
[11] . La citazione è tratta dall’opera di Ovidio Tristia, I, 2, 23-26 e 31-32: «Ovunque tu guardi, non vi altro che mare e cielo, / quello minaccioso per i flutti rigonfi, questo per le nubi. / Tra i due sibilano i venti in immane tempesta: / e l’onda del mare non sa a quale signore obbedire. / Incerto è il nocchiero: e non sa cosa fuggire  o dove dirigersi: / l’arte stessa stupisce di fronte ai mali oscuri».
[12] . Celebre espressione dell’Eneide di Virgilio, VII, 312, che significa “muoverò l’Acheronte”, uno dei fiumi infernali della mitologia Greca.
[13] . Qui Marx fa un gioco di parole tra die Heroen, “gli eroi”, die Herolde, “gli araldi” e die Hero, “Ero”, figura mitologica greca.
[14] .  Gioco di parole intraducibile in italiano, fra Taube, che significa “colomba”, e Tauber, che significa “sordo”.
[15] . Riferimento al libro di Giosuè. VI, 20.
[16] . Ancora una volta un gioco di parole, stavolta tra Aß, “asso”  e As, “asse”.
[17] . Marx si riferisce ai libri che costituivano il Corpus Iuris Civilis o Corpus Iuris Iustinianeum, l’imponente raccolta di norme e di leggi voluta dall’imperatore Giustiniano I (527-565) per mettere ordine nel diritto romano.
[18] . Allusione alla Prima Guerra Carlista (1833-1840), in cui Don Carlos di Borbone cercò senza successo di conquistare il trono di Spagna.
[19] . “In verità il beato Martino è buono come aiuto, ma caro negli affari”
[20] . Allusione al dramma di William Shakespeare, Macbeth, atto III, scena IV.
[21] . Bonifatius, Epistolae, a cura di Nicolaus Serarius, Magonza 1605.
[22] . Riferimento all’opera Le lutrin di NicolasBoileau-Despréaux, poeta, scrittore e critico letterario francese del XVII secolo. Lutrin significa “leggio”.
[23] . Sono citazioni bibliche tratte dal libro dei Proverbi, XXX, 4.
[24] . Gli elisir del diavolo è un romanzo dello scrittore tedesco di epoca romantica E.T.A. Hofmann, che fu pubblicato nel 1815.
[25] . Figura dell’ebreo errante, di cui la leggenda popolare narra che mentre Gesù veniva trascinato verso il Calvario, Aasvero lo avrebbe apostrofato dicendo “Cammina, cammina!”. Gesù a quel punto avrebbe risposto: “Io cammino, ma tu camminerai per sempre”, condannando Aasvero all’erranza eterna per i paesi del mondo.

Traduzione e note di Cristina Guarnieri (Scorpione e Felice, Editori Internazionali Riuniti, Roma 2011).
Immagine in alto: La lisciviatrice applicata alla filosofia del diritto (di Hegel) del maggiorascato (di Prussia).